La Francia guiderà la missione navale europea (ma non Ue) ad Hormuz: ci sarà anche l’Italia- Amm. Fabio Caffio

Amm. Fabio Caffio
Membro del Comitato Scientifico del Club Atlantico Napoli

La Francia è il Paese leader della European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASOH) operazione multinazionale lanciata lo scorso 20 gennaio 2020 per la sorveglianza dello Stretto di Hormuz volta ad assicurare la libertà di navigazione ed evitare, in seguito agli incidenti verificatisi negli ultimi mesi, possibili rischi a navi ed equipaggi in transito. 

La dichiarazione politica (https://www.diplomatie.gouv/) è stata firmata da Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Olanda e Portogallo, oltre che dalla Francia. Hanno già annunciato la partecipazione con loro assetti Danimarca, Francia, Grecia ed Olanda. La nuova missione prende il via dopo un periodo di incertezza seguito al tentativo inglese di adottare analoga iniziativa in risposta, la scorsa estate, al sequestro nello Stretto della nave britannica “Stena Impero” (sorta di ritorsione al sequestro a Gibilterra della “Grace 1”, nave panamense riconducibile a interessi iraniani). Dunque la Francia, ma non la UE, si pone come il Paese europeo di riferimento nel mantenimento della sicurezza marittima nell’area del Golfo con un’operazione che si affianca a quella a guida Usa già attiva: la Operation Sentinel (https://www.globalsecurity.org/military/ops/sentinel.htm) dedicata a fini analoghi nell’area più vasta che include oltre al Golfo e ad Hormuz, il Golfo di Oman e lo Stretto di Bab el Mandeb, con una partecipazione sinora limitata a Gran Bretagna, Corea del Sud ed Israele (solo per l’intelligence). Grande assente di entrambe le operazioni è la Germania mentre inedita è la partecipazione immediata della Grecia alla EMASOH, a riprova di una ritrovata assertività di Atene che ricerca alleati nella sua rivalità con la Turchia. Quanto all’Italia, l’adesione alla dichiarazione francese testimonia la volontà del nostro Paese di continuare ad essere un punto di riferimento per i Paesi del Golfo, Iran compreso, a garanzia del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Non si hanno riscontri sull’invio di assetti navali o aerei nell’area, anche in attesa di un dibattito quanto meno nelle commissioni Difesa di Camera e Senato in vista del rinnovo del Decreto Missioni. Indiscrezioni riferiscono che Roma potrebbe aderire a EMASOH una fregata tipo FREMM con a bordo 2 elicotteri e circa 200 uomini d’equipaggio inclusi piloti, tecnici di volo e i boarding team del reggimento San Marco. Benchè il comando dell’operazione sia francese (almeno per il primo semestre) e Parigi si appresti a schierare già nei prossimi giorni una fregata utilizzando la propria base negli Emirati Arabi Uniti (indicata nella mappa qui sotto), sembra che ogni singolo Stato, Italia inclusa, manterrà il controllo sulle proprie navi che applicheranno regole d’ingaggio nazionali: prerogative che lascerebbero al Francia il ruolo di coordinamento della flotta multinazionale. La presenza italiana ad Hormuz sarà quindi a protezione delle navi mercantili e degli interessi nazionali e a garanzia della libertà di navigazione nell’ambito di una missione che non è marcatamente diretta a contrastare l’Iran come lo è invece quella a guida statunitense. Del resto, come si ricorderà, più di trent’anni fa venne affidata alla Marina Militare la missione di proteggere il traffico mercantile nazionale, dopo l’attacco – ad opera di pasdaran (Guardie armate rivoluzionarie) iraniani – subito dalla nostra nave portacontainer “Jolly Rubino” il 2 settembre 1987. (https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/09/04/ne golfo-venti-minuti-di-terrore.html) Analoga iniziativa fu assunta da altre Marine europee – il cui intervento fu coordinato dall’Unione dell’Europa Occidentale (Ueo) – le quali, oltre a scortare in convoglio il naviglio di bandiera nel transito attraverso lo Stretto, provvidero a sminare le rotte di accesso. Al tempo si palesarono le mire di Teheran sull’uso strategico di Hormuz. La minaccia dell’Iran di fermare il traffico petrolifero via mare (in percentuale, non meno del 20% di quello mondiale e con valori superiori per Cina, Giappone ed India) si è ripetuta a più riprese negli Anni Duemila. Da non dimenticare, infine, che lo Stretto di Hormuz, dal punto di vista geografico oltre che giuridico, è uno stretto internazionale sia perché è interamente coperto dalle acque territoriali di Iran ed Oman (21 miglia è la sua ampiezza minima tra le isole di Larak e Quain) sia perché collega aree di alto mare e di Exclusive Economic Zone (EEZ). Le navi mercantili e da guerra godono al suo interno di libertà di transito senza preavviso secondo il regime del “passaggio in transito” stabilito dalla Convenzione del diritto del mare (Unclos) che prescrivere specifiche condizioni per la navigazione volte a non minacciare la sicurezza degli Stati rivieraschi. Un punto non ben chiaro nel regime dell’Unclos è se le navi da guerra possano, nel passare adottare misure di autoprotezione, compreso il sorvolo degli aeromobili imbarcati. Risulta che in passato l’Oman (che si pone nello Stretto, rispetto all’Iran, come una sorta di Paese neutrale) abbia scoraggiato l’adozione di tali misure. Per il passaggio sono stabiliti schemi di separazione del traffico approvati dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo, secondo l’acronimo inglese): due canali larghi ciascuno un miglio, ricadenti nelle acque territoriali dei due paesi, separati da una zona cuscinetto (buffer zone) di due miglia, posta a cavallo della mediana. In vicinanza della penisola omanita di Musandam, i corridoi di entrata e di uscita sono tuttavia posti integralmente nelle acque territoriali dell’Oman poiché dal lato iraniano la presenza di isole rende i fondali non idonei alla navigazione. Oltre lo Stretto, all’interno del Golfo Persico, vi è inoltre l’Isola di Abu Musa che, pur essendo rivendicata dagli Emirati, è sotto il controllo dell’Iran assieme ai vicini isolotti della Grande e della Piccola Tunb. In questa parte delle acque territoriali iraniane transita il traffico di cabotaggio diretto verso nord-ovest. Un pericolo di involontari casus belli, palesatosi a più riprese durante gli anni, è quello di incontri ravvicinati delle unità navali statunitensi con quelle iraniane comprese le imbarcazioni dei Pasdaran: non esiste infatti con l’Iran alcuna procedura di confidenza reciproca tesa ad evitare incidenti in mare in caso di incontri occasionali, simile a quella, non obbligatoria, definita nel 2014 con il Code for Unplanned Encounters at Sea (https://news.usni.org/2014/06/17/documentconduct-unplanned-encounters-se) (Cues) tra i Paesi partecipanti al Western Pacific Naval Symposium. La prossima missione potrebbe essere in teoria l’occasione per la Francia – firmataria del Cues – di concordarne con l’Iran uno simile cui, ogni Paese partecipante alla EMASOH sarebbe poi libero di aderire.